Non sono scaramantico, so bene che la vita finisce con la morte e che vivendo ogni tanto si soffre o ci si ammala.
Quindi se c'é qualcuno scaramantico che evita discorsi del genere toccandosi sotto la vita sappia sin da ora che questo topic non fa per lui, ammesso che non voglia compromettere la sua fertilità stringendosi freneticamente per 5 minuti.
Non fa mai piacere parlare di morte e sofferenza, evitare il discorso é il nostro modo di esorcizzarlo, negarlo, pensare "tanto a me non capiterà mai"... o é il nostro modo di evitarlo e basta, perché fa male anche solo pensarci.
Però é proprio questo continuo fuggire da "sani" che poi ci fa crollare da "malati", se non si é abituati ad affrontare un problema é impossibile essere preparati quando ci sfiora, ci é vicino o, peggio, ci tocca.
Una collega con la nonna malata di cancro mi raccontava di aver sentito di una statistica secondo la quale sono frequentissime le donne malate di cancro che si trovano sole, "perché l'uomo quando scopre sua moglie malata l'abbandona". Mi ha confermato di aver sentito questa affermazione formulata proprio in questo modo da un medico oncologo. Non so se sia vera o no, ma penso sia verosimile. Nel mondo della famiglia perfetta del Mulino Bianco, nel mondo del "son figo se son ricco", nel mondo di veline e calciatori non c'é posto per uno sfigatissimo malato di cancro che perde i capelli per la chemio, per un vecchietto malato spedito in casa di cura o per un bambino handicappato.
Secondo me "fa bene" parlarne, pensarci, condividere. Ed anche immaginarsi in una situazione difficile, immaginare come reagiremmo. Non é totalmente vero che "bisogna trovarcisi" per sapere come si reagirà, perché vorrebbe dire che non conosciamo noi stessi, che non crediamo in nulla e che siamo già rassegnati ad affidarci alla prima reazione che avremo se mai ci succedesse qualcosa di brutto, qualsiasi essa sia.
Propongo l'argomento affidandomi ad una lettera, ed alla sua risposta (in corsivo), che ho trovato nella rubrica di Vittorio Zucconi su Repubblica.it (link).
Lascio cadere il tema del Vaticano posto nel solito modo ottuso e ignorante, pur pensando che "il Vaticano" dovrebbe effettivamente cambiare modo di porsi perché gli é richiesto di "annunciare", non di "imporre". Ma l'eutanasia e la morte non sono un problema di partiti politici o di pro/contro Vaticano, o almeno non é questo il livello a cui mi piacerebbe affrontare il problema tra di noi. Non penso neanche che il grado di civiltà di un paese si misuri nella sua capacità di dispensare la morte, sia essa sotto forma di pena capitale, aborto, eutanasia o guerra. E non sono neanche d'accordo con la risposta di Zucconi, la frase che gli ho sottolineato potrebbe essere valida anche al contrario: una vita di sofferenze terminata soltanto per lenire il dolore di altri. E spesso é così: fa talmente male A NOI soffrire o accudire chi soffre che pensiamo ad aborto ed eutanasia più per noi stessi che per il sofferente. Ho frequentato per anni una ragazza handicappata, bloccata sulla carrozzina, muta e ritardata, l'ho conosciuta abbastanza bene da essere felice di averla conosciuta e da poter dire senza ombra di dubbio che era felice di vivere e di essere amata dai suoi genitori e da noi suoi amici.Caro direttore,
le scrivo a proposito del dibattito che si è aperto sul tema dell'eutanasia, in seguito allo struggente appello del Sig. Welby, che reclamava il suo diritto ad una morte "dolce". È mai possibile che, in questo paese, tutti i partiti di cosiddetta "ispirazione cristiana" in nome di quello che loro chiamano "rispetto della vita", vogliano entrare nelle vicende private - e spesso drammatiche - dei singoli cittadini, per imporre loro di continuare a soffrire anche quando non c'è più speranza di guarigione? Quando questa fetta di partiti politici si staccherà dalle sottanone del vaticano e la smetterà con queste ipocrisie e queste frasi fatte sulla vita, create ad hoc per raccattare qualche voto di vecchiette devote e smarrite?
Temo che non diventeremo mai un paese civile.
Sul suicidio, perché di questo si tratta, ho le stesse, confuse, contraddittorie idee che ho sull'aborto. Detesto, aborro, l'idea di spegnere una vita, che appartenga a un vecchio malato o a un feto, ma so che aborto e sucidio sono sempre esistiti e sempre esisteranno, dunque "proibirli" è come proibire il sesso o far muovere l'acqua verso l'alto. Esistono momenti nei quali, e parlo per esperienza, la scelta più umana e forse cristiana è sospendere la tortura a un adulto o risparmiare a un feto una vita di sofferenze salvata soltanto per lenire il dolore di altri. Come sa chi ha vissuto queste situazioni, esiste un abisso enorme tra il sapere che qualcuno di caro è "non morto" e sentirlo dichiarare "morto"
Ecco come la penso: secondo me il segreto per affrontare queste situazioni é racchiuso nella parola "amore". Chi ama o é amato non uccide nè ha voglia di morire. E se qualcuno ribattesse "e se uno é solo?" gli risponderei provocatoriamente che si é appena trovato un servizio di volontariato per il tempo libero.