Il futuro videoludico, Cina e affini

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Daneel
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Il futuro videoludico, Cina e affini

Post by Daneel » 15/10/2019 10:55

Buongiorno a tutti

Premessa fa cominciare a me una discussione è un rischio visti i noti wall of text, spero di non tediarvi troppo

Visti i casi di queste settimane, mi sembra l‘ideale aprire la discussione qua sull’attuale rapporto videogiochi/Cina/diritti umani.
Facciamola breve si parla del caso Blitzchung utilizzandolo come spunto di riflessione per un discorso più ampio, nel rapporto fra opinione pubblica e diritti umani.

In questi giorni come saprete è esploso il caso rapporto diritti umani e case di videogiochi.

“Incipit da long story short”
Il casus belli è stato il campione di Hearthstone che nell’intervista post torneo ha parlato delle proteste di Hong Kong schierandosi a favore (essendo lui di quella città/metropoli).
La reazione Blizzard è stata immediata con il Ban al giocatore e il licenziamento agli intervistatori, con annesso ginepraio di proteste da ambo i lati e un comunicato da parte dei Vertici della casa di Irvine, poi probabilmente ritrattato stanotte e poi cancellato e poi riuscito ecc (insomma giusto per aggiungere ulteriori dubbi).
In aggiunta Blizzard ha “impedito” a molti utenti di chiudere i propri account per evitare esodi di massa.
A ciò hanno fatto seguito le dichiarazioni di colossi come Riot (partecipata da Tencent) che ha proibito pena il licenziamento ai propri dipendenti e giocatori di parlare di qualunque argomento al di fuori del gioco Riot, oppure di Epic che invece si è platealmente (forse al fine di marketing) scagliata contro i suoi concorrenti appoggiando invece le proteste.
“fine incipit”

Premesso la domanda non è come processiamo blizzard o il processo alla stessa, oppure dire viva la libertà di parola (contro cui nessuno si schiererà mai contro come l’abolire le tasse o la pace nel mondo) ma partire da qua per elaborare riflessioni sul tema.

La domanda che ci si pone è come sarà il futuro per i gamer e per le case di videogiochi? Saremo obbligati a parlare solo di build, carte e quanti peli nel naso ha illidan dopo la trasformazione? Oppure potremo ancora parlare di discorsi seri e quindi avere dei nuovi Jesse Owens?

Parlando con altri del forum e Discord ci sono ovviamente teorie “discordanti” (e passatemela dai) con chi la vede su problematiche antitetiche, chi le vede come uno stupro dei valori in cui l’occidente “crede”, si parlo di te libertà di parola e pensiero ecc, altri che la vedono più dal lato siamo interessati al mercato cinese e quindi a mare le idee di base e viva i soldi (business is business o pecunia non olet di Vespasiana memoria).

Nello specifico io non ho preconcetti, e molto cinicamente dico che la Cina ad oggi è il 30% e forse più dei ricavi dei grandi colossi, direttamente e indirettamente (politica trumpiana permettendo) e che ovviamente inimicarsi pechino è oltremodo stupido al momento, però ovviamente il discorso non può essere tralasciato e che alla fine i grandi colossi dovranno scegliere da che parte stare, se col 30% o col resto del pianeta, con tutti i rischi del caso, bisogna tenere presente che a oggi si parla di un mercato sicuro in Cina dove potenzialmente hai meno concorrenti (dovuti al regime) rispetto al mondo aperto, dove hai molta più dispersione sia di genere che di case (Fortnite anyone?).

Che ne pensate? :pc:

Daneel

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Re: Il futuro videoludico, Cina e affini

Post by LouStrong_o.O » 16/10/2019 11:43

La mia prima considerazione è che la Blizzard se l'è cercata.

Perché da tempo sta promuovendo un atteggiamento da social justice warrior, contro i videogiocatori definiti "toxic", spingendo i suoi titoli con molta attenzione all'inclusività dei personaggi, dal punto di vista razziale ed LGBT. E se utilizzi questa immagine non solo politically correct, ma da veri e propri paladini della libertà ed uguaglianza, per raccattare parti del mercato occidentale, poi il contrasto con i compromessi legati al mercato cinese è brutale.

Brian Kibler, ex Pro di Magic, streamer e caster di Hearthstone, ha pubblicato uno statement che trovo molto coerente sulla questione (https://medium.com/@bmkibler_5280/state ... 4b4aec39ab). Fa presente che quello di tener fuori questioni politiche e sociali dai suoi stream è assolutamente un diritto della Blizzard, ma che la punizione è molto (troppo) severa per i suoi standard e per gli atteggiamenti precedenti.

Ora, ipocrisie di mercato a parte, credo sia necessario intanto scendere dal nostro piedistallo: ma finora, i giochi, che mercato volevano far contento? Chi era il giocatore medio? In che contesto sociale si inseriva? Risposta: noi, noi, il nostro. Al massimo ci arrivava qualche roba assurda dal giappone, che col tempo è stata sempre più sdoganata ed inserita nella stessa cultura globale. Ora le maggiori opportunità di espansione, per le grandi software houses, sono verso la Cina, e lì il mondo non è proprio lo stesso. Solo che se si trattava di censurare i panda ridevamo, ed ora siamo arrivati agli esseri umani.

La realtà è che il discorso è talmente vasto, comprendendo anche considerazioni su quanto sia possibile esportare (aka imporre, spesso) la propria cultura altrove, da richiedere un grosso passo indietro.

Blizzard, EA, Epic e compagnia cantante stanno acciaccando una merda dopo l'altra: rendetevi conto che il principio delle loot boxes, o pacchetti di fifa ultimate team che siano, ha un impatto negativo sulla cultura della ludopatia molto più immediato e critico di quanto possa esserlo il censurare un giocatore di HS. Togliamo il romanzo ed il sentimento dalla narrazione, e rendiamoci conto che non possiamo cercare in una multinazionale il grande faro di speranza per una vita migliore, per noi o per altri.

Poi, volete boicottare questo o quel prodotto, fatelo. Assicuratevi di non comprare il concorrente solo perché in quel momento vi sta sussurando la cosa giusta.

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Re: Il futuro videoludico, Cina e affini

Post by CuginoIt » 17/10/2019 09:43

Consentitemi, seguendo Lou, di spostarmi un po' oltre il singolo caso cinese.

Secondo me la censura in questione non è per nulla in discontinuità con il comportamento tenuto da Blizzard e molte altre case negli ultimi 15 anni.

Capisco l'approccio "di facciata" inclusivo cui si riferisce Lou, ma, secondo me, la sostanza è molto diversa.

Nel 2002, anno di Warcraft 3, la Blizzard promuoveva il più possibile piccoli e grandi raduni di giocatori: il supporto LAN nei suoi giochi era primario e c'era l'idea che una comunità di giocatori/clienti sana fosse una comunità con vere occasioni di incontro. C'erano eventi su larga scala (smauilp) e molti piccoli gruppi che si facevano le loro LAN casalinghe.

Quando hai persone che si incontrano davvero, quello che succede è che parlano e pensano.

Inoltre questi eventi erano spontaneamente organizzati, dal basso, con poche "gerarchie", e il fenomeno dei pro-player non era ancora così preponderante.

Poi inizia l'era di Wow. Nel giro di pochi anni il modello dei clienti/giocatori è progressivamente cambiato.

Blizzard (e tutte le altre) non voleva più una comunità auto-organizzata che generasse incontri spontaneamente. Voleva centralizzare e monopolizzare gli eventi. Voleva mettere il suo timbro e il suo controllo su essi.

Per cui, via i supporti LAN (o quanto meno riduciamoli al minimo). I giocatori devono essere sempre connessi, incontrarsi sui server Blizzard, ma, obiettivamente, LAN e occasioni di incontro sono state scoraggiate, rese più ardue e difficili: dividi et impera.

Il modello perseguito, secondo me, è stato quello di trasformare i giocatori/clienti indipendenti di inizio 2000, in giocatori/clienti/spettatori molto più controllati dal centro. Con meno spazi di discussione, confronto, ragionamento, che non fossero quelli codificati e approvati da Blizzard e dalle regole del gioco.

L'estremo è che ormai StarCraft è una nuova televisione: io penso ci siano molti più spettatori che non giocatori. Ci sono i grandi team, i campioni, le kermesse, ma non ci sono le LAN.

Questo modello è particolarmente congeniale, per vari motivi, ai paesi asiatici. O almeno a Cina e Corea. Nel 2008-09, quando sono stato in Corea, i giocatori si trovavano per lo più in internet cafè che erano un punto di contatto vero, per quanto limitante .

Quando ci sono state alternative (fibra dappertutto) gli internet cafè hanno iniziato a sparire, con sollievo del governo cinese che vede di cattivo occhio troppe occasioni di incontro non controllare dall'alto (in Cina credo ci siano state molte campagne contro gli internet cafè, nel contesto più ampio e corretto della lotta alla dipendenza dei videogiocatori).

Quindi, a mio parere, la Blizzard sta solo seguendo la naturale vocazione degli ultimi 15 anni: controlliamo tutto noi e riduciamo gli spazi di incontro indipendenti e la possibilità di veicolare idee indipendenti coi videogames.

Con questa strategia è ovviamente la benvenuta in Cina, dove il controllo dall'alto è uno dei pilastri del sistema.

In conclusione io non vedo alcuna contraddizione: le politiche inclusive per LGBT sono solo innocenti cose di facciata, ma il movimento globale, come per tutte le corporations è controllo ferreo dall'alto.

Sì potrebbe dire che la Blizzard, con la censura politica, ha solo un pochino anticipato i tempi, e le persone se ne sono accorte. Non sono stati in grado di farlo in maniera velata e sottile e ne hanno pagato le conseguenze. La prossima volta non sbaglieranno.

Io sono molto più pessimista di chi sostiene che il videogiocatore medio si preoccupi di questa questione. Purtroppo penso che, negli USA in particolare, il videogiocatore medio non ha una grande consapevolezza politica, probabilmente non sa dove sia la Siria, non sa che Hong Kong era una colonia inglese, e sotto sotto un buon 40% di loro ha votato Trump... (Poco meno della media nazionale direi).

In conclusione io non credo che i videogiocatori europei o americani abbiano veramente la possibilità di cambiare le cose in Blizzard o in altre grandi case. Quello che ci dobbiamo chiedere è se vale la pena di continuare a giocare o se dobbiamo cambiare giochi. Nel mio caso non ho mai rinunciato a giocare... Così come, per esempio, non ho mai rinunciato a guardare le partite di calcio, anche se quello è un ambiente ancora più tossico e deleterio per quanto riguarda la consapevolezza politica.

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Re: Il futuro videoludico, Cina e affini

Post by Maloghigno » 26/10/2019 18:41

Qg io non saprei dire se LAN e "always online" siano così strettamente connessi, di sicuro mi trovi d'accordo sul fatto che ognuno a casa nostra siamo meno pericolosi e più controllabili che assieme.

Il RadunoO ha ormai qualcosa non solo di anacronistico, originale, controcorrente... ma ora è addirittura rivoluzionario!
:pirates:

A me è sembrato molto significativo che nell'arco di 10 giorni siano saltati fuori: la polemica nell'NBA, la vicenda Blizzard e tutto il rumore che hanno fatto i calciatori turchi facendo il saluto militare.

Il mondo non può star fuori, neanche dai videogiochi.
Le aziende romantiche o gli sport romantici non esistono: l'NBA e la Blizzard non rinunceranno ad un solo soldo della Cina (devono fare utili) e la UEFA della Turchia (per la finale di Champions).

Il marketing è potente, ma è solo marketing, e nel caso della Blizzard potrebbe costar caro: son proprio curioso di vedere se e come se ne tirano fuori, e cosa proveranno a fare al Blizzcon tra qualche giorno.

Il problema della Blizzard, come ben scritto da Lou, è in fondo un problema di coerenza.
Scommetto che la coerenza diventerà un bene sempre più prezioso per le aziende, perchè non potrà essere comprato a buon prezzo. Anzi, richiede molto tempo per essere creato ed è molto caro da difendere.

Più in generale, chissà se le grandi aziende, che mescolano al loro interno soldi di diverse nazioni con diverse identità e interessi, saranno un acceleratore dei prossimi conflitti o se invece li ritarderanno in nome del capitalismo e del libero mercato.

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