vorrei raccontarvi la mia esperienza.
Quando è venuto il momento
di fare il mio dovere e rispondere alla chiamata alle armi, ho scelto il servizio civile, e tramite la Caritas sono stato indirizzato presso un convento di frati minori, alla Mensa del Povero di Torino. Ho passato un anno in quel convento, sei giorni la settimana, dalle otto di mattina alle otto di sera (beh, in realtà dormivo anche lì, visto che avevo una bella cameretta tutta per me).
La mensa era davvero attrezzata: fra pranzo, cena e sacchetti da portar via offrivamo da mangiare a circa 300 persone al giorno.
Ogni pasto era costituito da
1 primo (normalmente un piatto di pasta al sugo)
1 secondo e 1 contorno (tipo bistecca e patate)
1 frutto (es. una mela)
2-3 panini
1 bicchiere di vino
acqua
Non è stata un'esperienza facile, sicuramente formativa, ma assolutamente non facile.
Chissà perchè mi ero creato la falsa convinzione che in una mensa per poveri entrasse gente
buona, sfortunata ma buona, immaginavo un barbone che avanzava nel corridoio della mensa intimidito e col capo chino, rigirandosi un cappello cencioso fra le mani, che venisse verso di me e mi dicesse "Ecco io... ho sentito che qui date da mangiare".
beh, ero un idealista.
Anzitutto un po' di numeri: di 110 persone che si sedevano al tavolo ad ogni pasto (il refettorio era costituito da lunghe tavolate, per un totale di 110 posti a sedere) gli italiani costituivano una minima parte, diciamo meno di una dozzina di persone. La stragrande maggioranza erano albanesi (la sera poi erano quasi esclusivamente albanesi), poi c'era una minoranza di peruviani, bielo russi, e polacchi, e naturalmente una decina di marocchini.
Beh, la convivenza con questi ultimi è stata quella che mi ha dato più filo da torcere. Erano davvero pochi, appena una manciata, ma si sentivano, cacchio se si sentivano.
Con gli albanesi non avevo difficoltà a risolvere i piccoli problemi quotidiani (tipo piccoli furti o sporadici atti di prepotenza), o a far rispettare le
poche regole che possono vigere in una mensa per i poveri (tipo: non fumare nel refettorio, non disturbare durante la preghiera, non bestemmiare). Con i marocchini eravamo sempre ai ferri corti.
Va puntualizzato che a gestire il tutto (e cioè centinaia di persone)eravano soltanto in tre, due obiettori ed un responsabile, e che proprio per evitare l'anarchia più totale ci eravamo imposti
fermezza sulle poche regole che c'erano da rispettare.
E così ci toccava litigare coi marocchini praticamente ogni giorno.
Venivano per mangiare ma non accettavano alcun compromesso, non rispettavano la struttura, noi, neppure i frati che offrivano loro un pasto caldo senza averne un solo centesimo in cambio.
Ho perso il conto di quante volte abbiamo dovuto chiamare la polizia, di quante volte siamo finiti in strada a spintonarci, e di quanto siamo finiti così vicini alle mani che tornavo nella mia stanza così teso e nervoso da non riuscire a dormire. Ricordo una sera con due ragazzi che avevano scavalcato tutta la fila (li facevano entrare in ordine di arrivo) per una cazzata siamo stati a tanto così dal darcele, ed uno di loro si era tolto la cintura e se l'era arrotolata intorno al pugno. Io fissavo quel pugno ricoperto di cuoio e pensavo "Andrea stringi i denti quando ti colpisce, almeno non rischi che ci finisca la lingua in mezzo".
Ricordo un'altra volta, la più spaventosa di tutte, che ho avuto da dire con un marocchino e quella sera stessa, quando sono uscito dal convento me lo sono trovato sotto il portone, e mi fa appoggiato un taglierino sulla gola, e mi ha urlato e sputato.
Io ho fatto di tutto per non cedere. Quello era un luogo in cui non si poteva cedere. E così ogni giorno lottavo contro le loro prepotenze. Contro quelli che spintonavano le donne, o quelli che rubavano il bicchiere di vino al proprio vicino, o quelli che piegavano le forchette fino a farci un nodo.
Finchè un giorno...
Premessa: c'era un marocchino in particolare. Non era grosso, era alto e secco, ma era davvero una brutta gatta da pelare, la peggiore. Era litigioso, aveva da ridire su tutto, era un provocatore nato. Con lui avevo da ridire giornalmente.
Finchè un giorno...
Lui sedeva sui cofani delle macchine parcheggiate fuori dal convento (e intendo proprio: si sedeva sopra, deformando la lamiera) scavalcava sempre la fila, buttava il cibo per terra e ci insultava.
Per me litigare con lui era diventato un gesto quotidiano.
Finchè un giorno...
Finchè un giorno mi si è avvicinato un altro marocchino, uno col quale ero riuscito
più o meno a impormi, un giorno che l'avevo portato fuori dal refettorio perchè ubriaco, e mi ha detto
"Senti Andrea... lascialo stare quello lì. Quello è un Capo. Non è un buon affare. E sta parlando di te in giro"
Mi si è ghiacciato il sangue nelle vene.
sta parlando di te in giro...
sta parlando di te in giro...
Ed ho ceduto.
Non del tutto, natualmente. Ma ho cercato di
non vedere tutte le sue prepotenze, di cazziarlo SOLO quando era strettamente necessario.
sta parlando di te in giro...
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Perchè vi ho voluto raccontare la mia esperienza di servizio civile?
Perchè anche se non sappiamo dare una soluzione al problema dell'immigrazione, noi viviamo comunque il problema, lo percepiamo, ci siamo immersi fino al collo.
Le nostre strade sono piene di persone che PER UNA RAGIONE O PER UN'ALTRA delinquono.
Sì, il disagio, sì, la povertà, la guerra...
Ma questo non deve giustificare tutto.
Aggiungo una cosa: ad un povero io mi sento di giustificare il furto.
Se avessi trovato un povero che rubava del pane o qualcosa da mangiare dalla mia mensa, io avrei perdonato tutto. Ma gli atti vandalici, trovare le posate rotte, o falli e bestemmie incisi sul legno del tavolo, ...
beh, io non mi sento di giustificarli in nessuna maniera.