Non credo ci siano parole per descrivere l'emozione che ho provando leggendo, o almeno io non riesco a trovarle, per cui mi limito a fare un copia/incolla di questa incredibile storia.
E' lunga ma credetemi, ne vale la pena.
Ma si, è facile, in fondo è come andare in bicicletta, una volta imparato non lo scordi più...
E' ripetendomi queste cose che cerco di contenere l'emozione mentre, dopo diciotto lunghissimi anni, mi siedo di nuovo su una moto per guidarla io.
Il 636 fa un discreto rumore anche col motore al minimo, ma riesco lo stesso a sentire dentro al casco il cuore che batte, lui non al minimo, anzi, direi che è quasi a limitatore…
Uno sguardo alla strumentazione, e mi ricordo il contagiri bianco con la lancetta arancio della mia Aprilia 125 di tanto tempo fa, di quando avevo sedici anni.
Il gas: lo sfioro appena e la striscia di cristalli liquidi che sul Ninja ha preso il posto della lancetta sale con una velocità che un po’ mi intimidisce.
Spero proprio di non fare come quella volta, la prima volta che salii su una due ruote a motore: ricordo ancora quella mattina in cui mio nonno, sotto casa sua, mi presentò quella stranissima bicicletta senza pedali, che faceva un rumore assordante!
Era una bellissima replica in piccolo, con motore a scoppio due tempi, della MV Agusta con cui Giacomo Agostini stravinceva in quegli anni, ma questo lo capii solo molto tempo dopo, da grande.
Allora avevo poco più di quattro anni, fino a pochi mesi prima la mia bici aveva ancora le rotelle, figuriamoci!
Anche quel giorno salii in sella pieno d'emozione, talmente emozionato e così piccolo da non ricordare più dopo pochi metri le parole di mio nonno "ruota la manopola verso il basso per andare più veloce, al contrario per rallentare!".
Fu così che quella prima, brevissima, esperienza in moto si concluse con me che giravo la manopola al contrario e la motina che attraversò a tutto gas la strada sotto casa (meno male che nel 1975 a Roma non c'era il traffico di oggi!!!) per terminare la sua breve corsa con un volo nell'erba alla base delle mura Aureliane... Che pianto che feci quel giorno, quanto mi aveva spaventato quel mostro meccanico!
Un altro tocco al gas, il quattro cilindri della mia Kawa risponde e io cerco di capirlo. Anche quella piccola minimoto di allora pian piano la capii, col tempo e con i pazienti insegnamenti di mio nonno: quante domeniche passate nel "nostro" circuito, un anello sterrato in campagna a Trigoria, alle porte di Roma.
Già, mio nonno. Si chiamava Aldo, come me. E' sicuramente tutta colpa, o forse merito suo, se sono cresciuto con la moto nel sangue. Pomeriggi, settimane, mesi passati con lui ad aggiustare e restaurare moto e motorini di ogni genere. Non era il suo lavoro, lo facevamo nel tempo libero, era la sua Passione, con la P maiuscola.
E così, mentre i miei coetanei imparavano a leggere e scrivere, io imparavo (anche) a cosa servivano le fasce sul pistone, a riconoscere dal colore della candela una carburazione giusta: bella nocciola come le mani dopo aver mangiato la Nutella a merenda, oppure grassa, nera e untuosa come le mani dopo aver smontato una catena sporca...
Prima in giù, ci siamo dai, col piede cerco la leva del cambio e tlack, la marcia entra, il Ninja si muove un attimo, prende vita.
E come dimenticare la prima guida di una moto a marce, la prima volta de "la prima in basso": certo, prima avevo provato la vespa di un mio amico, ma quella le marce le aveva sul manubrio, era un'altra cosa... Quella mattina era una moto vera, io avevo quindici anni ma il mio compagno di classe ripetente era già da un po' che veniva a scuola con la sua Honda 125. Avevamo saltato la prima ora di lezione, io col mio fido motorino e lui con la sua moto andammo in un piazzale per fare "la Prova". L'emozione era tanta anche quel giorno, ma io dovevo dimostrare di essere bravo e lo fui, misi la prima, diedi gas con la mano destra mentre con la sinistra lasciavo la frizione e la moto si mosse, partì, misi la seconda, poi la terza anche . Era la prima volta, ma ormai era fatta.
Devo fare come allora. Con la destra do gas, la moto si muove anche stavolta, grazie a una centralina che fa il lavoro che la mia mano sinistra non è più in grado di fare. Non è più in grado di fare quel lavoro, e nemmeno nient'altro, da quella sera di quasi diciotto anni fa in cui una maledetta macchina mi tagliò la strada.
Stava cercando una cosa nel cassetto portaoggetti, mi fu raccontato, mentre sbucava da quello stop senza darmi la precedenza.
Mi fu raccontato, dato che io di quell'incidente non ricordo più nulla, che mi prese di lato gettando me e la mia moto a terra.
Mi fu raccontato, dal verbale della stradale, che nel volo andai ad incastrarmi sotto ad una macchina parcheggiata a lato della strada. Non andavo veloce, 50 all'ora, ma non ebbi il tempo di frenare e la macchina che colpii cadendo era a non più di tre metri dal punto dell'impatto iniziale, per cui non avevo avuto né tempo né modo di rallentare.
Con il mio corpo le piegai il braccetto dello sterzo e la mandai addosso a un'altra macchina parcheggiata. Incredibile, no? 50 chilometri all'ora non sembrano tanti, ma se pensiamo che un centometrista da olimpiadi nemmeno raggiunge i 40 km/h nel pieno dello slancio, beh, vista così si capisce meglio quanto violento possa essere stato il colpo.
Il mio primo ricordo successivo è in ospedale. Non avevo grandi danni visibili, solo un ginocchio sbucciato e un grosso livido gonfio proprio tra il collo e la spalla sinistra. Faceva molto male là, ma sul braccio non sentivo male. No, sul mio braccio sinistro non sentivo male, non sentivo freddo anche se era fuori dalle lenzuola, non sentivo... non sentivo più niente!
Il braccio era là, tutto intero ma era là, non lo sentivo e non si muoveva più.
La sentenza dei medici fu "lesione completa del plesso brachiale sinistro", un termine freddo e tecnico per dire "ragazzo mio, il tuo braccio è paralizzato, è ancora li attaccato ma non te ne fai più niente".
Può sembrare assurdo, ma il mio primo pensiero di fronte a quella sentenza senza appello fu:"Dio mio, con una mano sola non potrò mai più guidare la moto!".
La moto era stata la mia Passione per tutta la vita, non potevo e non volevo arrendermi, a distanza di anni riconosco che fu soprattutto quel pensiero, quella voglia di rimontare in sella, che mi diedero la spinta per affrontare una complicata operazione, all'epoca sperimentale, di neurochirurgia ricostruttiva. La spinta che mi aiutò a sopportare il calvario della fisioterapia riabilitativa, tre anni di esercizi, fatica e impegno per riuscire ad alzare di nuovo la spalla sinistra, almeno altrettanti per riuscire a piegare il gomito, e che emozione quando, ancora tanto tempo e tanta fatica dopo, per la prima volta riuscii a flettere il polso! Un miracolo per gli stessi medici che avevano seguito la mia riabilitazione.
Dopo dieci lunghissimi anni di esercizi però le mie fatiche avevano dato tutti i possibili frutti, e anche di più, ma le dita della mano sinistra continuavano a rimanere immobili. Fu li che dovetti, stavolta definitivamente arrendermi, quello era il massimo recupero in cui potevo sperare: la spalla ok, il braccio abbastanza bene, il polso appena appena, ma le dita niente.
E la moto? E tutte le volte che avevo sognato di rimontare in sella? Tutte quelle mattine in cui non volevo svegliarmi dalle lunghissime, interminabili impennate? Possibile che avrei dovuto rassegnarmi per sempre ad un futuro da automobilista, che non me ne vogliano gli appassionati di auto, ma ho l'orticaria anche solo mentre lo sto scrivendo?
La moto era stata la fonte di tutte le mie più grandi emozioni, i 270 all'ora letti sul tachimetro del GSXR 1100 prestatomi da un amico di mio padre, le impennate violente e cattive dell'RD 500 due tempi di mio cugino e tante altre, erano le emozioni più intense della mia vita, i ricordi più belli. Solo mia figlia, dal momento in cui è nata, ha saputo darmi gioie più intense, ma questa è un'altra storia...
Potevo davvero rinunciare alle due ruote? No, la risposta era sempre e comunque no, nonostante l'incidente, nonostante tutto quello che ne era conseguito, la risposta era sempre no, non potevo.
Ma come fare? A parte l'impossibilità oggettiva di usare la frizione, la mia patente A dopo l'incidente era stata sospesa a tempo indeterminato, per la mancanza dei requisiti fisici. Infatti in Italia (ma non in altri paesi europei, per fortuna..) la patente "speciale" (modo carino per dire: per handicappati) era prevista solo per la guida di autoveicoli, ma assolutamente non per i motocicli.
E allora mi comprai un motorino, uno scooterino 50cc preso per due soldi all'ipermercato, ma comunque un due ruote!
Così cominciai a riprendere un minimo di familiarità con le curve fatte senza girare il volante, però, cazzarola, quel coso andava veramente troppo piano, i sessanta all'ora erano un miraggio da inseguire in fondo alle discese, e le pieghe un miracolo di fortuna, necessaria più che altro per uscirne indenne, con l’approssimativa ciclistica a disposizione!
Per questo non potevo più tenerlo, prima o poi avrei finito con l'ammazzarmi pur di trovare emozioni che quel piccolo mezzo non poteva di certo darmi. Lo vendetti a malincuore, ma ormai la strada per il mio ritorno in sella era imboccata.
La svolta decisiva è avvenuta però non molto tempo fa, quando nel 2005 l'Italia ha recepito la normativa europea in merito alle patenti speciali. La mia patente A, rimasta in naftalina per tutto quel tempo, non era più un foglio utile solo per soffiarsi il naso!!!
Era fatta, avevo finalmente speranze concrete di tornare in sella ad una vera moto!!!
Piccolo dettaglio: la normativa c'era, però non esisteva nessuna moto da poter guidare senza la mano sinistra... già, piccolo dettaglio per chi ha il divieto sulla patente di usare veicoli con cambio manuale...
Ma arrendersi era una parola che avevo già eliminato da tanto tempo dal mio vocabolario. L'avevo sostituita con il termine "tentare".
Tentai l'impresa, e acquistai ciò che più si avvicinava al mio concetto di due ruote senza avere quella dannata frizione da azionare.
Il mio Nexus 500! Quaranta cavalli, centottanta chilometri all'ora da raggiungere senza dover compiere quel gesto che un'automobile maledetta mi aveva negato per sempre. I primi tempi la gioia di guidarlo era incontenibile: per così tanti anni avevo sognato pieghe che ora ero capace di farne anche per mille e passa chilometri in un giorno, toccando ad ogni curva il cielo con un dito (della mano sinistra, tiè!!!).
L'appetito però si sa, vien mangiando, e i 40 cavalli, la ciclistica dello scooter, erano una gabbia troppo piccola e stretta per me, per il senso di libertà che sfidare le leggi della fisica in piega o in accelerazione un motociclista come me insegue sempre.
Volevo e dovevo avere una vera moto, non c'era niente da fare. Una moto, si, ma come fare???
Internet, meraviglioso prodigio. La risposta venne da lì: navigando un giorno tra siti di moto (tanto per cambiare insomma....) incontro questo "Disabike".
Disabile + bike, interessante equazione direi... Apro e vedo il filmato di un Ducati, un Monster, con la frizione che si muove da sola!!!
Cribbio, è quello che sognavo!!! Prendo e scrivo: "Salve, a causa d'un incidente ho il braccio combinato così, vorrei guidare una moto cosà, eccetera eccetera, si può fare?". Risposta: "Certo, si può fare!". Inizio ad avere le visioni, il monitor ha dei cordoli a lato, il mouse si è già trasformato in un semimanubrio mentre scrivo: "Ma io amo le moto sportive, si può fare solo sul Monster o si può adattare anche una supersportiva?". Risposta: "Certo, si può fare su qualsiasi moto!". La gioia era tale in quel momento che non ci sono parole per descriverla.
Tutto il resto del tempo che mi separa da quel "prima in giù, le altre in su" trascorre in un lampo: torno a casa, racconto della Disabike a Lara, la mia insostituibilmente preziosa compagna di vita e di passione motociclistica, andiamo al concessionario dove trovo lei, la mia Ninja...
E poi il trasferimento fino a dove la moto sarà adattata, con lei, Lara, sulla Ninja, ed io per l'ultima volta a seguirla sullo scooter.
E adesso eccomi qui, davanti all’officina dove la Ninja è diventata “automatica”, per il primo giro di prova, la Mia prova: prima in giù, le altre in su, devo ricordarmi solo questo. Con la destra do gas, la moto si muove, grazie a una centralina che fa il lavoro per la mia mano sinistra... Seconda, terza, poi scalo e mi fermo, riparto. Fila tutto liscio come l'olio.
Ho trentasei anni, da diciotto, una vita praticamente, non guido una moto e in un attimo è come se non avessi mai smesso.
Eccomi, sono tornato, sono rinato in sella!!!
Ed ecco gli amici, i fratelli motociclisti, anzi, Motociclisti, un fantastico gruppo di persone, questo posto dove mi sento, pur non essendo fisicamente cambiato, per la prima volta dopo tanto uguale a tutti gli altri e non un “minorato”. Sono in un piccolo paese dell'Emilia, talmente piccolo che si chiama Casina. E' il giugno del 2007, il mio primo motoraduno. Dove ho conosciuto tanti di voi, di noi!
Grazie a tutti, davvero, per la gioia che mi avete dato nell'accogliermi tra voi. Per la forza e la speranza che mi avete dato negli anni quando, non potendo ancora essere uno di voi, vi vedevo sfrecciare per la strada in sella alle vostre moto, quando l’urlo dei vostri scarichi mi diceva “un giorno tornerai anche tu!”.
Grazie con tutto il cuore a tutti voi, a tutti noi: Motociclisti, strana e meravigliosa gente...
http://www.disabike.it/index2.htm
http://www.guidosimplex.it/